«Sono Maysoun, ho 45 anni, vengo da Gaza, sono sposata e ho sei figli».
Così inizia il racconto di una donna che, fin da bambina, si alzava prima dell’alba per guardare le stelle, coltivando un sogno “impossibile” in quel luogo e in quelle condizioni: diventare astronauta.
In Palestina non c’erano percorsi per inseguire quel sogno, ma la passione è rimasta come una fiamma bassa ma costante, che non si è mai spenta.
Ho conosciuto Maysoun dalla sua pagina di astronomia su Facebook e le ho chiesto di raccontarmi la sua storia.
È iniziato tutto su un tetto di Gaza, con una bambina che contava le stelle e provava a riconoscere le costellazioni e a ricordarne i nomi. Poi la vita ha preso una sua direzione: il matrimonio, i figli, le guerre senza fine che spazzavano via ogni progetto. Ma il cielo era sempre lì, a ricordarle che esiste qualcosa che resta immutabile, che nessuna guerra può distruggere. Nel 2014 la svolta: Maysoun scopre l’esistenza di un centro di astronomia presso una delle università della città. «C’era un telescopio per le osservazioni: non riuscivo a contenere la gioia», scrive. Partecipa a un evento pubblico per osservare la Luna e Giove, conosce la direzione e gli organizzatori, inizia a seguire corsi e a partecipare alle serate osservative. Poi il passo più coraggioso: chiedere di entrare nel gruppo, nonostante lo scetticismo iniziale — «madre, casalinga, senza laurea» — e dimostrare sul campo che passione e impegno possono contare più dei titoli. In poco tempo tiene conferenze e attività per scuole e università e apre una pagina divulgativa che riscuote grande seguito. Tra i ricordi più luminosi c’è la partecipazione a un concorso di astronomia organizzato da studenti, in collaborazione con il Centro di Astronomia di Gaza (Center of Astronomy and Space Sciences, presso la Al-Aqsa University, guidato tra gli altri dall’astrofisico Suleiman Baraka (UNESCO Chair)) e con l’Osservatorio Astronomico di Parigi.
L’idea di Maysoun è semplice e potente: sviluppare un’app in arabo, una mappa del cielo con promemoria degli eventi astronomici, pensata per chi vuole orientarsi sotto le stelle nella propria lingua. Forma una squadra, lavorano tre giorni, presentano il progetto. Quando viene pubblicata la classifica, Maysoun non si riconosce nei nomi del terzo e del secondo posto: «Con mia grande sorpresa, ero la prima classificata», racconta. Quella sera un amico le regala anche un piccolo telescopio autocostruito: “per guardare il futuro” le dice.
Con il tempo Maysoun apre anche una pagina Facebook, che in pochi mesi raccoglie centinaia di follower. Poi, la guerra. Il buio non è più quello della notte stellata, ma un buio di interruzioni elettriche e connessioni saltate, di case sventrate, di fughe e ripari improvvisati. «Abbiamo lasciato la nostra casa e lì ho lasciato i miei sogni», scrive Maysoun. “Dopo il 2020 il centro di astronomia ha smesso di operare e il gruppo che lo gestiva si è disperso. Ho continuato a osservare il cielo e a insegnare ai miei figli della Luna, delle costellazioni e di molte altre cose celesti.” Ma adesso, racconta Maysoun, “la guerra mi ha negato di guardare non solo il cielo, ma persino dalla finestra di casa.” Da mesi non riesce nemmeno a riconoscere il cielo che prima conosceva “stella per stella”. Paradossalmente, con l’elettricità spenta in tutta la città, le stelle tornano visibilissime — ma guardarle fa male: «Ora non so quale pianeta ho davanti, né in che fase sia la Luna».
Maysoun e la sua famiglia è tornata a Gaza. “Ma, dopo due anni, con sgomento ho scoperto di aver perso la mia casa: è stata completamente distrutta.” La vita quotidiana si è ristretta a necessità elementari: un tetto che non c’è, vestiti e stoviglie perduti, nessun reddito. «Dormiamo per terra, coperti da un panno che a malapena ci basta», scrive. L’osservatorio ha chiuso da anni, il gruppo si è sciolto; restano i figli, a cui Maysoun insegna ancora a riconoscere costellazioni, come può, a occhio nudo.
È un atto di resistenza: preservare nei bambini la capacità di alzare lo sguardo, nominare il cielo, trovare una stella guida. «Tornerò a essere come prima e tornerò a contemplare il cielo», promette. Prima della distruzione attuale, la Striscia Gaza aveva sei università. Tre di queste sono state completamente distrutte dai raid aerei dell’esercito israeliano. Erano frequentate da oltre novantamila studenti a cui è stato negato il diritto di studiare e sognare un futuro, come lo sognava la piccola Maysoun.
A Gaza colpire le università è stato un modo per recidere la possibilità stessa del futuro a sradicare le fondamenta dell’istruzione. Nonostante tutto, la comunità accademica non si è arresa.
Come affermato nella Dichiarazione d’emergenza unificata degli accademici e amministratori palestinesi del 29 maggio 2024, “le forze di occupazione israeliane hanno demolito i nostri edifici, ma le nostre università vivono ancora”. Le università vivono nei loro studenti, vivono nei sogni di ragazze come Maysoun.

La casa di Maysoun dopo i bombardamenti.
L’astronomia, per Maysoun, non è evasione, ma radicamento: attraverso le stelle ritrova le sue radici, la connessione con la vita, con la terra – Il cielo la riporta a sé stessa.
«Conoscevo ogni stella», scrive. Ricominciare vuol dire tornare a chiamarle per nome. Nonostante le difficoltà, Maysoun non è sola. Quando la connessione lo permette ci sentiamo, ci scambiamo immagini, parliamo di futuro. Ha perso tutto ma non il cielo. Il cielo non lo possono bombardare. Oggi Maysoun vive in un campo temporaneo, ma continua a raccontare le stelle ai suoi figli.
La storia di Maysoun non è solo una cronaca di guerra, non è solo la storia di una donna che guarda il cielo tra le macerie di Gaza, ma una testimonianza di come la scienza possa diventare linguaggio di pace. Perché l’Universo non appartiene solo a chi lo conquista, ma a chi lo guarda con meraviglia. Questa è anche la storia di un popolo intero. La storia di tanti altri uomini e donne a cui sono stati spezzati i sogni, a cui è stata spezzata l’istruzione, famiglie intere e la vita.
E mentre a Gaza una donna continua a cercare la sua stella, il mondo intero dovrebbe imparare a farlo con lei.
Con questo articolo, io, Nicoletta Iannascoli, insieme al Prof. Giovanni Covone e alle redazioni delle riviste che pubblicheranno questo messaggio, siamo tutti vicini a Maysoun e a tutto il popolo palestinese con la speranza che un giorno possano riprendersi la propria vita, la propria terra e la propria libertà di guardare il cielo – non per paura ma per meraviglia.
Nicoletta Iannascoli
Economista.
Divulgatrice scientifica, Socia UAI
Prof. Giovanni Covone
Università Federico II di Napoli
Pubblicazione solidale:
Astronomia (UAI)
Giornale di Astronomia (SAIt)
Coelum Astronomia
Cosmo2050
Scienza & Pace Magazine Università di Pisa


