A distanza di 13 anni dalla pubblicazione del libro “L’inquinamento Luminoso”, da me scritto per Gremese Editore, e di 25 dalla pubblicazione di quello di Pierantonio Cinzano “Inquinamento Luminoso e protezione del cielo notturno” per le Memorie dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, arriva finalmente una nuova opera su problema della progressiva scomparsa del Firmamento.
Si tratta del volume “Illuminazione pubblica e criminalità,” scritto da Luca Invernizzi, giornalista scientifico e attivo membro dell’Associazione Cielo Buio, con sottotitolo “La luce come variabile indipendente per comportamenti devianti?”.
La peculiarità di questo lavoro, oltre ad essere uno dei pochi in lingua italiana su questo tema, è rappresentata dal fatto che il suo obbiettivo principale, ma non unico, è quello di aver studiato le eventuali relazioni tra lo sviluppo della criminalità, in senso lato, e la diffusione dell’illuminazione esterna, sia pubblica che privata, nelle zone urbane ed extra-urbane.
Come noto uno degli argomenti più volte contrapposto, per la verità in modo strumentale e non sempre fondato, per contestare la legislazione, italiana e di altre nazioni, per la limitazione dell’inquinamento luminoso e dei consumi energetici a questo connessi, è proprio quello della sicurezza nelle città; sia con riferimento a fenomeni criminosi sia alla necessità di illuminare di più, ma non per questo meglio, le strade per prevenire e ridurre gli incidenti stradali.
Suddiviso in 5 capitoli, ben articolati e corposi, il tomo consta di oltre 300 pagine che toccano i seguenti temi: Strategie e tecniche di prevenzione del crimine; Luce e sicurezza; Luce artificiale: business ed effetti collaterali; Rapporto tra crimini e luce; Considerazioni finali e nuove ricerche.
In realtà il libro, su cui l’autore si è attardato a lavorare reperendo un notevole quantitativo di dati e di referenze bibliografiche e documentali, non si limita a trattare quanto indicato dal titolo dai singoli capitoli ma perlustra, giustamente, anche altri spazi argomentativi, già trattati in altre pubblicazioni, ma sempre utili da rivedere ed approfondire anche alla luce sia della nuova tecnologia led che del profondo mutamento dei fenomeni criminosi negli ultimi 20 anni.
Un primo dato, del tutto lapalissiano, emerge in modo evidente e cioè che non vi è nessuna relazione scientifica, seria ed accertata, che la presenza, o meglio ancora direi, la sovrabbondanza di luce artificiale, comporti una maggior sicurezza, sia per il contenimento dei reati allarmanti, in senso stretto, sia per la prevenzione degli incidenti stradali.
Se cosi non fosse, considerando il tasso di sviluppo quantitativo degli impianti, che raddoppiano ogni 10 anni, e di flusso luminoso installato, degli ultimi 30 anni, si dovrebbe registrare una forte contrazione degli uni e degli altri.
Anzi, secondo alcune statistiche, già note da anni, è emerso che in Francia lo spegnimento di alcune arterie stradali non ha comporto alcun aumento di sinistri mentre in altri paesi, addirittura, si è riscontrata una diminuzione di questi, evidentemente per il fatto che, su strade meno illuminate, si tende a guidare in modo più prudente.
Basti pensare al triste fenomeno dei femminicidi, sviluppatosi nell’ultimo decennio e da considerarsi, nella quasi totalità dei casi, un’emergenza di rischio inframurario, su cui ben poco può fare l’illuminazione, per non parlare dell’impennata di omicidi stradali causati da chi si mette alla guida sotto l’effetto di alcool o droghe o, peggio ancora, di entrambi.
Non si può sottacere che spesso, dietro la scelta di propagandare il potenziamento dell’illuminazione come forma di sicurezza, vi sono interessi economici nemmeno tanto nascosti e la smania di una certa politica, di basso profilo culturale ma di alta attenzione al facile consenso, che ne traggono vantaggio. Per il resto, dati alla mano, si conferma quanto già riportai nel 2009 e cioè che l’Italia è il paese che spende di più, in Europa, per l’illuminazione pubblica: 5 volte più della Germania con 28,73 euro pro-capite anno contro 5,80 euro. Dato in linea con i flussi installati che sono, sempre con riferimento ai questi due paesi, 60.5 lumen medi in Italia contro i 22,4 teutonici!
Del resto, a dispetto della forzata “ledizzazione” quasi imposta in Italia e non riscontrabile nella stessa misura in molte altre parti del mondo, negli ultimi 10 anni non vi è stato alcun tipo di serio risparmio, complessivo e finale, negli impianti delle nostre città.
Invernizzi, opportunamente a mio avviso, tratta anche la problematica, peraltro sempre più preoccupante ed ormai ben nota, dell’effetto della luce artificiale sull’avifauna e sull’Uomo con l’alterazione dei ritmi circadiani da parte della “obtrusive light”, peraltro perseguibili in sede civile ai sensi dell’art. 844 CC e con il supporto delle varie leggi regionali approvate negli ultimi 20 anni ma ben poco rispettate nella maggior parte dei casi.
Un libro che consiglio, non solo per gli appassionati della materia, ma anche per tutti coloro che sono interessati alla realizzazione e gestioni degli impianti, non tanto per il contenuto tecnico del testo quanto per le riflessioni, di ordine etico, che possono guidare verso una migliore, più economica ed ecologica visione dell’illuminazione delle aree urbane o comunque antropizzate.
Un monito, per tutti, per cambiare atteggiamento anche nella gestione delle risorse energetiche e uno stimolo per gli astrofili che, ancora oggi, non trovano il coraggio e la determinazione per farsi sentire a tutela delle pur numerose leggi vigenti nel “bel paese”.
Mario Di Sora
Direttore Osservatorio astronomico di Campo Catino
Referente della Sezione “Inquinamento luminoso” dell’UAI