Se ci siamo commossi, e anche indignati, guardando il film “Il diritto di contare”, ci farà piacere, oggi 12 dicembre, nel centesimo anniversario della sua morte, dedicare un pensiero riconoscente a Henrietta Swan Leavitt, una figura tanto fondamentale per lo sviluppo della moderna astronomia quanto sconosciuta al di fuori della cerchia degli specialisti.
Nata in Massachusetts nel 1868, esattamente il giorno dell’Indipendenza, da una famiglia di solida fede cristiana – il papà era un pastore della chiesa congregazionista – Henrietta ricevette un’educazione decisamente al di sopra della media del tempo, ma comunque declinata “al femminile”.
Quindi, nonostante avesse un particolare talento per quelle che oggi si chiamano STEM, si diplomò nel 1888, in Ohio, all’Oberlin Collegiate Institute, famoso per essere stato il primo college statunitense ad indirizzo umanistico ad ammettere le donne.
Solo più tardi, quando si iscrisse alla Society for the Collegiate Instruction of Women in Cambridge, dove insegnavano alcuni professori della Harvard University – allora rigorosa-mente maschile – seguì, proprio alla fine degli studi, un corso di astronomia presso l’Harvard Observatory. Il suo talento non passò inosservato: nel 1895, il Professor Edward Charles Pickering, che dirigeva questa prestigiosa istituzione, le propose di collaborare come volontaria alle sue ricerche. Henrietta si dedicò con passione e competenza al compito assegnatole: catalogare il maggior numero possibile di stelle in base a posizione, colore e grandezza. Inoltre le fu chiesto di studiare le stelle variabili, utilizzando gli apporti della fotografia astronomica, la tecnologia che si era andata affermando dall’inizio dell’Ottocento. La Leavitt raccolse i risultati del suo lavoro in un manoscritto che terminò nel 1896 e che tornò a discutere col Prof. Pickering dopo un viaggio in Europa. Fu solo, tuttavia, nel 1902 che l’Harvard Observatory le diede un impiego vero e proprio.
Lo testimonia lo scambio di lettere con cui il Prof. Pickering propose ad Henrietta, che cercava un’occupazione più compatibile dell’insegnamento con l’aggravamento della sua sordità, una vera e propria assunzione a 30 centesimi l’ora (è stato calcolato che oggi questa paga corrisponderebbe a poco più di 8 dollari).
Harvard College Observatory, 1910 circa
La Leavitt entrò così a far parte del gruppo delle donne “computers” diretto da un’altra pioniera dell’astronomia, Williamina Paton Stevens Fleming, anche lei una donna dal destino straordinario. Piantata in asso giovanissima dal marito, mentre era incinta, dovette cercarsi un posto da cameriera. Il caso volle che finisse in casa del già citato Prof. Pickering che, colpito dalla sua intelligenza e precisione, nel 1881 la assunse all’Harvard Observatory per effettuare calcoli matematici, ovvero il lavoro di più basso rango (alle donne era vietato l’uso dei telescopi).
Se Williamina, detta Mina, andando ben oltre il suo ruolo di “computer”, introdusse un modo di classificare le stelle – basato sullo spettro della loro luce ottenuto con un prisma posto davanti al telescopio – ancora migliore di quello di Padre Angelo Secchi, Henrietta non fu da meno. Anzi! Entrata nel progetto di ricerca di Pickering, che mirava a determinare la luminosità di tutte le stelle misurabili, la Leavitt diede un’impronta personale agli studi. Non solo scoprì 4 novae e circa 2.400 stelle variabili (più della metà di quelle note fino al 1930), ma soprattutto nel 1908 intuì la relazione esistente nelle variabili tra la magnitudine apparente di ciascuna di loro e la durata del relativo periodo di pulsazione.
I suoi approfondimenti successivi, condotti su 25 cefeidi della Piccola Nube di Magellano, consentirono la pubblicazione, sull’Harvard College Observatory Circular, di uno studio dall’importanza cardinale per la comunità scientifica perché offriva la chiave per calcolare la distanza tra la Terra e le stelle.
L’unica zona d’ombra era la firma: compariva infatti quella di Edward Charles Pickering, che si limitava a premettere che il contenuto era stato redatto da Miss Leavitt. L’intuizione di Henrietta fu foriera di grandi sviluppi, sintetizzabili nella scoperta che l’universo era molto più esteso di quanto non si fosse pensato fino a quel momento.
Tra coloro che hanno i maggiori debiti di riconoscenza verso la Leavitt compare sicuramente Edwin Hubble che, basandosi proprio sulla relazione tra magnitudine e periodo di pulsazione, si rese conto che la Via Lattea non era l’unica galassia dell’universo, rivoluzionando le conoscenze dell’epoca.
Henrietta Swan Leavitt alla sua scrivania all’Harvard College Observatory
La Leavitt avrebbe meritato il Nobel, ma quando il matematico – ed assertore dei diritti delle donne – Gösta Mittag-Leffler, membro dell’Accademia svedese delle Scienze, propose di candidarla per la fisica, scoprì che la geniale “Miss” era morta anni prima, poco dopo essere stata nominata capo del Dipartimento di Fotometria da Harlow Shapley, che nel 1921, trasferendosi da Mount Wilson, era diventato il nuovo direttore dell’Harvard Observatory.
Insomma, Henrietta Swan Leavitt, rimasta ufficialmente “computer” quasi fino al termine della sua carriera, riuscì a penetrare i misteri dell’universo, ma non a sfondare il famigerato “soffitto di cristallo”. Una vita segnata dalla luminosità delle “sue” stelle e dall’ombra in cui l’hanno tenuta le convenzioni sociali.
Le hanno dedicato un asteroide e un cratere sulla Luna. Sulla faccia nascosta…
Elisabetta Brunella
https://www.britannica.com/biography/Henrietta-Swan-Leavitt
https://library.cfa.harvard.edu/life-and-beginnings
https://news.harvard.edu/gazette/story/2018/07/henrietta-swan-leavitts-research-transformed-astronomy/
Luna e gli altri… – 12 – rubrica culturale di interessi multidisciplinari