DONNE NELLA SCIENZA 2023 – Risposte a domande in chat

7 Marzo 2023 / Comments (0)

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Come promesso in diretta all’evento dell’11 febbraio 2023, pubblichiamo in questo documento le risposte delle ospiti alle domande poste in chat che non siamo riusciti ad indirizzare in diretta per motivi di tempo. Ricordiamo che il video dell’incontro è disponibile su https://youtube.com/live/N306Seaf5Vs

Grazie a tutti.

 


Buonasera, sarebbe interessante sapere se Clementina ha trovato attitudini diverse riguardo alle donne nella scienza tra Italia e Stati Uniti… lei ha l’esperienza per dirlo, senz’altro) – Domanda di Marco Castellani 

Clementina Sasso: Riguardo le attitudini direi di no. Le percentuali di ragazze e donne impegnate nelle scienze sono più o meno simili a quelle italiane.

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Ditemi un po’ che non è molto importante il gruppo dei pari ( Peer Education ) o lo è ?! Dalla vostra affermazione scientifica quanto lo è stato? Grazie – Domanda di Angelo Balconi

Sabrina Masiero: Ho sentito parlare molto poco di Peer Education, non l’ho mai messa in pratica con gli studenti che quotidianamente ci fanno visita nel periodo scolastico al GAL Hassin di Isnello. Sono  sicura che un pedagogo o un sociologo darebbero una risposta più completa della mia.

Per quanto ne so di Peer Education, ritengo che una figura di riferimento per un bambino/a o un ragazzo/a sia fondamentale. Io da adolescente cercavo dei modelli adulti a cui ispirarmi (pensavo al mio futuro, a cosa avrei potuto fare da grande, chi seguire) e sicuramente i miei coetanei non mi avrebbero mai aiutata in tal senso. Forse se si vive in una famiglia benestante, o comunque senza problemi economici, è sicuramente più facile mettere il proprio figlio a contatto con altri bambini o ragazzi e fargli vivere delle esperienze di conoscenza. Potrebbe andare benissimo per imparare una lingua, per imparare un’attività sportiva, per uno strumento musicale. Non so quanto potrebbero durare questi Peer Education, e quindi mi permetto di dire il mio limitato punto di vista. Io non so se da bambina avrei rinunciato ai miei nonni per trascorrere un periodo con altri bambini per apprendere qualcosa di nuovo. Sicuramente lo avrei fatto a 12-17 anni, ma prima non credo, perché ero molto legata ai nonni materni e sono vissuta in un ambiente in cui anche le loro scarse conoscenze mi hanno comunque permesso di sognare e di sognare in grande. Non ho certo avuto le possibilità che hanno avuto altri bambini della mia età, lo ammetto, ma solo in un secondo momento si comprende questo. Confermo che si può sempre imparare, se si ha la volontà di farlo, anche più tardi, con più fatica ma se c’è la volontà nessuno ti ferma.

Un altro aspetto importante è la qualità della vita, il contesto socio-economico in cui si vive. In Sicilia c’è una qualità di vita per la quale la Peer Education la vedo dura a svilupparsi… non tutti i genitori hanno quelle conoscenze o quei contatti con altri genitori con un livello culturale elevato, non tutti i bambini di queste famiglie se lo possono permettere. Secondo me in un ambiente povero o rasente la povertà un discorso di questo tipo non è facile da sviluppare (e così era anche nella mia famiglia). I genitori siciliani che vivono in piccoli e sperduti paesini di montagna si affidano all’aiuto dei loro genitori, per cui i bambini crescono in un contesto culturale molto povero, vedo molto difficile che il concetto di Peer Education possa prendere avvio. Mi chiedo e vi chiedo: perché non fare un buon lavoro come insegnante e come genitore? L’educazione, la formazione culturale possono essere quelle tradizionali per crescere bene il proprio figlio o uno studente. Di stimoli per imparare ne hanno tantissimi oggi e arrivano dai social. Con un clic conoscono come si risolve un’equazione di secondo grado, sanno tutto delle leggi di Newton, hanno dei modellini per comprendere come funziona un pendolo. Tutto questo a me è mancato. Hanno già tantissimo per imparare. E allora, sorge la seconda domanda: vogliamo davvero istruire i nostri figli oppure no?

Penso sia sempre importante come ci si rapporta con lo studente a scuola (a casa si immagina che ci siano i genitori a dare il loro importante contributo educativo): l’ho visto quando ho fatto l’insegnante di matematica e fisica. Prima di tutto ci deve essere rispetto tra studente e insegnante, lo dicevo sempre a tutti i miei studenti. Non pensate di prendermi in giro non studiando – dicevo loro – da questa cattedra vedo tutto e tutti; successivamente, mi trovavo a difendere i loro sforzi nell’apprendimento con gli altri insegnanti, cosa che è incredibile da raccontare, durante gli incontri perché con me gli studenti andavano bene e con loro andavano male. Bisogna sostenere e aiutare l’apprendimento in una ragazza o in un ragazzo. I miei studenti e le mie studentesse mi hanno dato enormi soddisfazioni: da un lato sono stata senza ombra di dubbio un’insegnante differente dagli altri, e gli studenti me lo dicevano; dall’altro lato, avevo una mia personale gratificazione perché vedevo gli studenti felici di apprendere, almeno la quasi totalità degli studenti della classe. Tra tutti i ragazzi, ci sono anche quelli con difficoltà a livello familiare che devono essere aiutati e capiti, ci vuole molta pazienza, ma l’insegnante deve avvicinarsi al ragazzo e capirlo, essergli da sostegno. Bisognerebbe che ogni caso venisse contemplato a sé, perché ogni studente ha una sua vita, una sua famiglia, una sua situazione più o meno difficile. La figura di un insegnante deve esserci, altrimenti mi chiedo come crescerà questo bambino o ragazzo senza un riferimento. Così dev’esserci la figura del genitore, dei nonni, altrimenti si fa presto ad affidare i propri figli ad altri bambini più colti o istruiti del nostro solo per liberarcene e avere del tempo per noi mentre siamo tranquilli e con la coscienza pulita nell’aver fatto di tutto per il loro apprendimento nelle prime fasi dell’infanzia e dell’adolescenza. Alla fine, temo che la Peer Education si possa ridurre a questo.

Clementina Sasso: Per me lo è stato molto, soprattutto durante il periodo della tesi di laurea che ho svolto in Osservatorio in una sala frequentata da quattro-cinque colleghi e durante il dottorato di ricerca al Max Planck dove eravamo invece un bel gruppo di studenti e giovani post-doc. E’ fondamentale avere qualcuno con cui confrontarsi e che abbia comunque il tuo stesso punto di vista almeno sull’esperienza di vita.

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Buonasera, visto che abbiamo tante esperte di Sole forse possono dirci il loro punto di vista sul fatto di questi giorni sul flare solare che i mass media chiamano “pezzo di Sole che si è staccato”? – Domanda di Ciapilot75

Sabrina Masiero: Da un punto di vista della comunicazione scientifica, parlare di “un pezzo di Sole che si stacca” è del tutto fuori luogo, è incorretto. Il Sole è una sfera di gas. Trattandosi di gas, non ci si può assolutamente riferire a dei “pezzi” che si staccano dalla sua superficie. Il titolo ha del sensazionale, serve per catturare l’attenzione, ossia per fare in modo che la notizia passi e venga notata in mezzo ad una miriade di altre notizie. Da un punto di vista astrofisico, si tratta di un vortice di plasma che si è formato e separato dal resto del plasma, cosa veramente insolita, ma proviene da un fenomeno ben conosciuto. Più si va avanti con strumentazioni da terra e da spazio sempre più potenti e perfezionati, sempre più le nostre conoscenze si arricchiscono nello studio di una stella a noi molto vicina che per questa sua vicinanza è ben studiata ma ancora non compresa completamente.

Mimma Colella: come al solito la notizia è stata data dai media in modo sensazionalistico. Non si è staccato alcun pezzo del sole, è successo che una protuberanza (getto di plasma) sulla superficie del sole, si è staccata e ha preso a roteare al polo nord del sole stesso, un evento raro ma non impossibile. Le cause non sono del tutto chiare, gli scienziati si riservano di approfondire. L’evento è stato ripreso dal Solar Dynamics Observatory del NASA, un telescopio spaziale che dal 2010 monitora il sole per carpirne i segreti.

Clementina Sasso: L’informazione su questi eventi è davvero imbarazzante… eppure l’argomento delle tempeste solari è molto importante per la sopravvivenza della tecnologia umana e andrebbe trattato cercando di far capire alle persone quello che realmente può accadere in case di una tempesta solare eccezionale.

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per Sabrina, solo se c’è tempo: il tuo racconto è stato appassionato, non trovi c’è bisogno di comunicare di più che la scienza non è fredda ma è realmente emozionante? le donne possono farlo meglio? – Domanda di Marco Castellani

Sabrina Masiero: Sono d’accordo con te, Marco. C’è bisogno di una maggiore comunicazione scientifica nel senso che c’è bisogno di protagonisti e protagoniste della scienza che si rendano disponibili a raccontare le emozioni della scienza, delle loro difficoltà e dei loro traguardi, di cosa significa fare scienza oggi. Abbiamo sempre imparato, fin da bambini, a conoscere la fisica dalle formule. Sappiamo che una data formula si chiama con un dato cognome, per esempio le Tre leggi di Newton, che un’altra di chiama Legge di Coulomb, che c’è la Curie-terapia (oggi più diffuso il termine radioterapia), il Teorema di Fermat e così via. Si dovrebbe dare maggior peso a chi sta dietro a queste formule: fare un breve racconto di chi le ha immaginate, studiate, sperimentate. Forse i tempi per l’apprendimento sono così ristretti, a scuola e all’università si deve correre con i programmi che non si ha il tempo di fare entrambe le cose. Ma di tanto in tanto, ricercatori e insegnanti con lauree specifiche, dovrebbero stimolare l’interesse degli studenti in questa direzione. Spero che nella Settimana dello Studente e nella Notte Bianca dei Licei, in occasione di Donne nella Scienza o dell’Asteroid Day, in generale di alcuni eventi interessanti da un punto di vista scientifico si possano trovare spazi per raccontare la scienza e far capire quanto sia interessante un percorso di vita in ambito scientifico.

Donne o uomini possono raccontare di scienza allo stesso modo, io mi sono appassionata grazie ai racconti di grandi scienziati ma è sicuramente vero che una bambina sarebbe più stimolata a leggere un racconto o ascoltare una storia che è nato dalla penna e dall’esperienza di una donna piuttosto che da quello di un uomo. Questa stessa bambina sarebbe a mio avviso più motivata perché avrebbe un esempio femminile da seguire, non si sentirebbe sola in mezzo a soli uomini.

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Domanda: in Italia quante possibilità o probabilità ha una ragazza di riuscire a fare carriera in campo astrofisico? Nel senso una donna che è determinata, quando dovrà lottare per ritagliarsi un posto nel vostro ambito? – Domanda di Matteo Raffaelli

Sabrina Masiero: Domanda molto difficile perché ha molteplici sfaccettature. Prima di tutto, la nostra società è ancora molto “maschilista” perché la Storia ci racconta che per arrivare ad una uguaglianza riconosciuta tra generi abbiamo dovuto attendere molti anni e non è ancora finita (basti vedere cosa sta accadendo in alcune parti del mondo: vere e proprie lotte in corso per un diritto all’istruzione che viene ancora oggi negato, per la libertà di pensiero, di azione, solo per fare un esempio). Una ragazza oggi, in un contesto come questo, deve ancora superare vecchi stereotipi, ma è sicuramente più avvantaggiata di quando sono partita io, trent’anni fa, quindi qualche progresso c’è stato, almeno in Italia.

Le ragazze hanno un’intelligenza che permette loro di affrontare le materie scientifiche: sono più motivate rispetto ai loro compagni di genere maschile, lo sono sempre state, riescono meglio perché si impegnano di più e possono raggiungere livelli superiori in alcuni casi, per la loro costanza e per il loro ingegno. Poi però, dopo aver superato grandi difficoltà, ecco che per motivi legati ad una famiglia, per motivi legati alla vita quotidiana, per motivi legati in generale all’ambiente in cui vivono, le carriere scientifiche al femminile hanno un calo. Pochissime donne laureate e con specializzazioni di tutto rispetto riescono ad arrivare al vertice. Sono molto più favoriti, ancora oggi, i maschi. In questo caso, devo dire che una donna deve lottare molto, molto di più rispetto ad un uomo. E ancora non ci riesce. L’ambito astrofisico è uguale a tutti gli altri settori della ricerca, io non ho visto sostanziali differenze quando mi sono confrontata con altre donne nella scienza.

Clementina Sasso: Se è determinata a mio parere non avrà problemi o comunque non più di un ragazzo, visto che il problema principale sono la mancanza di fondi e posizioni per tutti. Le difficoltà che ho incontrato io sono più legate alla gestione della vita familiare rispetto ad un collega uomo (o la maggior parte, senza voler generalizzare) ma questo è un problema più trasversale e relativo a molte professioni.

Mimma Colella: credo che abbia delle buone possibilità, le donne ormai hanno dimostrato ampiamente di essere davvero in gamba in ambito astrofisico e nelle materie STEM in genere. La loro assenza in passato era da attribuire solo a questioni culturali, non ad incapacità o al non “essere portate”. I cosiddetti soffitti di cristallo si sono prima lesionati, ora si stanno finalmente rompendo.

 

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Credo che le limitazioni familiari e dell’ambiente a volte sono più subdole di un “non sei portata”, sono un gran lavorio soprattutto di cose non dette, comunicazione non verbale… – Domanda di Matteo Raffaelli

Sabrina Masiero: Purtroppo l’aspetto socio-economico influenza tantissimo la scelta di una adolescente ed è da questo ambiente che poi emergono frasi del tipo “non sei portata”. Mi permetto di dire che ogni luogo ha i suoi cattivi esempi. I miei insegnanti delle scuole medie non credevano nelle mie capacità: mi ritenevano una ragazzina che non poteva fare il liceo e aspirare a un certo tipo di cultura e quindi di professione. Un giovane insegnante di italiano e latino di Liceo, nonché prete presso la Parrocchia del mio paese, quando mia madre in confidenza gli raccontò quello che gli insegnanti della scuola media gli avevano detto su di me, si indignò. Io ero presente. Parlò con mia madre. Poi si rivolse a me e mi disse: questi sono dei consigli ma solo tu puoi sapere in cuor tuo quello che desideri fare da grande, nessuno conosce te meglio di te stessa. Sono sicuro che avrai tutta l’energia e le capacità per fare il liceo, perché se tu sei motivata. Sarà il liceo stesso a fornirti le competenze necessarie per arrivare dove vuoi.

In cuor mio l’ho sempre ringraziato. Ancora oggi lo faccio quando penso a quell’episodio.

Clementina Sasso: concordo a pieno.

Mimma Colella: non credo che ancora oggi ci possano essere delle limitazioni famigliari per motivi di genere, i genitori hanno capito che assecondare le inclinazioni circa il percorso di studio dei figli equivale ad essere partiti già in vantaggio.

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Essere donna è difficile di per sé per raggiungere determinati traguardi, ma mi chiedevo: essere donna del sud o lavorare al sud (come Sabrina Masiero) ha posto ulteriori ostacoli alla realizzazione del proprio sogno? Oppure confrontandovi con altre ricercatrici e scienziate provenienti da tutta Italia il percorso è lo stesso? – Domanda di Marcella Botti

Sabrina Masiero: ho risposto in trasmissione, mi permetto di aggiungere un breve pensiero molto personale. Mi sono confrontata tante volte con altre mie colleghe e colleghi da ogni parte d’Italia. Non ho notato differenze importanti perché oramai gli istituti di ricerca collaborano fra loro e uno studente del nord può fare esperienza al sud e viceversa, è in contatto con un gruppo di ricerca così vasto che va al di là dei confini nazionali. Gli ostacoli sorgono quando fisicamente ci si sposta dal nord e si va a vivere al sud, come ho fatto io in un paesino sperduto nelle Madonie. Grandi difficoltà di adattamento, non tanto per la solitudine quando per le condizioni di vita completamente differenti. Purtroppo, i mezzi di trasporto non esistono, strade fatiscenti e che continuano a peggiorare, modo di ragionare e mentalità pure differenti (a volte un abisso con la mia). Poi, per fortuna, incontri qualcuno di ampie vedute e allora capisci che non sei solo, che puoi veramente fare astrofisica anche in un paesino così isolato e vai avanti.

Clementina Sasso: credo di aver risposto in diretta.

Mimma Colella: sicuramente essere donna al sud pone ulteriori ostacoli alla carriera, c’è sempre il problema di dover emigrare al nord , dato che il gap colossale tra nord e sud si traduce anche in mancata presenza di organismi  e centri di ricerca al sud.

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Domanda per tutte: Qual è l’aspetto più divertente della vostra professione/passione? – Domanda di Marcella Botti

Sabrina Masiero: L’aspetto più divertente (e gratificante) è vedere il sorriso stamparsi sul volto di un bambino o di una bambina quando gli parli di spazio. E ancora più grandi sono la soddisfazione e il divertimento quando il sorriso compare in un volto di un adulto.

Clementina Sasso: anche a questa ma lo ripeto: viaggiare e poter entrare in posti inaccessibili ai più.

Mimma Colella: L’aspetto più divertente è sicuramente avere sempre la testa aldilà dell’atmosfera, e spesso trascinarci anche gli altri.