Mappa di Marte dell’Unione Astrofili Italiani

Una delle mappe più recenti, prodotta da sole osservazioni visuali allo scopo di fornire un valido riferimento recente, è stata disegnata da M. Frassati e P. Tanga sulla base di osservazioni e misure effettuate tra il 1988 e il 1999. Essa è una mappa ufficiale UAI del pianeta.

 

Mappa UAI di Marte, disegnata da M. Frassati e P. Tanga

 

 

Mappa precedente senza nomenclatura

 

La mappa è disponibile anche in formato adatto all’utilizzo in WinJupos, ovvero in proiezione cilindrica (cliccare sull’immagine ridotta a destra).

 

La mappa in proiezione cilindrica, per l’utilizzo in WinJupos

 

Per utilizzarla, occorre scaricare la mappa e archiviarla in una cartella (per esempio dove avete installato WinJupos), poi si avvia WinJupos scegliendo il pianeta Marte. In “Tools” scegliere “Ephemerides”, e andare sulla pagina “Options”. Indicare nella “Texture image” il file dell’immagine allegata, e selezionare le opzioni “Simple cylindrical projection”, “South at top”, “Planetocentric”. Nella casella “Longitude at left side of the map” indicare “180.0”. Occorre Verificare bene le opzioni suddette, perchè sono fondamentali. Potete anche indicare, per un’orientazione più coerente con le immagini, “South at top” nella sezione “Image orientation”. Alla pagina “Graphics”, selezionare l’opzione “Texturing”. Ora la visualizzazione dovrebbe effettuarsi correttamente sul globo del pianeta.

Mappe storiche moderne

Schiaparelli

Dopo i primi tentativi di Maedler (1830), Kaiser (1862-64) e Proctor (su osservazioni di Dawes, specialmente del 1864), fu il nostro Schiaparelli a rifondare, su basi rigorosamente geometriche, l’analisi telescopica della superficie di Marte, detta appunto Areografia (da Ares, nome greco di Marte). La mappa che egli pubblicò nel 1878 a corredo della celebre Memoria Prima, si affermò come riferimento obbligato per tutta la comunità scientifica; con essa la nomenclatura introdotta per individuare le varie configurazioni – derivata da “nomi di geografia poetica e archeologia mitica” – divenne d’uso corrente, e sopravvive ancor oggi non solo nelle mappe foto-visuali, ma anche, in parte, in quelle geomorfologiche che le sonde spaziali hanno permesso di realizzare.

 

Mappa di Schiaparelli, dalla sua “Memoria Prima” (1878). Si notino i numerosi “canali” nell’emisfero Nord del pianeta (in basso)

 

Antoniadi

Agli inizi del Novecento l’illusorietà del Marte geometrico era dimostrata: osservatori dotati dei maggiori telescopi non avevano visto traccia di canali e altri, come V. Cerulli, avevano spiegato il meccanismo attraverso il quale l’occhio organizza dettagli al limite del potere risolutivo secondo illusorie forme semplici. Cerulli aveva inoltre fatto notare come la visibilità dei canali non diminuisse con il pianeta più lontano: il che naturalmente deponeva molto a sfavore della loro esistenza fisica.  Oggi sappiamo che il momento della svolta avvenne con la grande opposizione del 1909, che vede le osservazioni di Eugène Michael Antoniadi con la “Grande Lunette” di Meudon, il rifrattore Henry da 83 cm. Antoniadi, vide chiaramente l’assenza di ogni forma di geometria, sostituita da una miriade di dettagli irregolari di cui, nonostante l’abilità di disegnatore, dichiarò di non essere neppure in grado di dar conto. Nelle settimane seguenti produsse una memorabile serie di osservazioni. La mappa dell’apparizione mostra le macchie areografiche smembrate dal potere risolutivo della “Grande Lunette”: si noti per esempio l’affastellarsi di dettagli fra Syrtis Major e Hellas, i chiaroscuri di Lybia ed Hesperia e la resa del M. Tyrrhenum macchiettato, come scrisse Antoniadi, “alla guisa di una pelle di leopardo”.

 

Mappa di E.M. Antoniadi, apparizione del 1909

Antoniadi raccolse le osservazioni sistematiche svolte a Meudon fra il 1909 e il 1928-29 (sempre come “astronome volontaire”) in un compendio pubblicato nel 1930. Egli scoprì che la topografia marziana cambiava lentamente ma continuamente nel tempo, presentando variazioni stagionali e secolari. Si rese conto di non poter concepire una carta che riproduca fedelmente le fattezze di Marte nel corso di più apparizioni, infatti quella che accompagna l’opera del 1930 reca il titolo significativo di “Carta generale dello stato medio della cangiante superficie di Marte”.

 

Mappa di E.M. Antoniadi, sintesi pubblicata nel 1930. Nel volume “La planète Mars” essa è accompagnata da una mappa, in tre sezioni, molto più dettagliata

De Mottoni

Per l’osservatore telescopico mediamente equipaggiato, e in ogni caso come strumento di consultazione immediata, la mappa dell’Unione Astronomica Internazionale (IAU) è tutt’ora validissima. Essa fu disegnata dall’italiano Glauco de Mottoni nel 1957, e mostra l’aspetto medio delle macchie d’ albedo risultante dall’analisi di un’ampia raccolta internazionale di osservazioni fotografiche ottenute nel periodo 1941-1952. Questo lavoro, eseguito sotto l’egida dell’International Astronomical Union (IAU), era giustificato dall’esigenza di tener conto degli ulteriori cambiamenti intervenuti su Marte negli anni successivi alla pubblicazione dell’opera di Antoniadi. Alcuni di essi erano particolarmente clamorosi, come lo sviluppo di un’enorme struttura scura nel settore di Cyclopia, Thot, Nodus Laocoontis e Thoana Palus, che raggiunse la massima prominenza nel 1954.

Mappa di G. de Mottoni, 1957

 

La nomenclatura è limitata alle configurazioni maggiori – salvo poche omissioni – secondo una raccomandazione dell’ IAU che suggeriva il solo uso delle coordinate per indicare i dettagli minori. L’aspetto generale del Pianeta mostrato dalla mappa è ancora soddisfacente, benchè nel frattempo siano intervenuti numerosi cambiamenti. Tra essi è il caso di ricordare l’affievolimento di Nephentes-Thoth (a NE della Syrtis Major) ed il ritorno alla piena visibilità di Ganges, una striscia scura che collega il Sinus Aurorae al Lunae Lacus (e non Palus).

Un’alternativa a questa mappa può essere trovata in quella del Lowell Observatory (1962), che si raccomanda per la grande precisione cartografica.

Rispetto ad essa i maggiori cambiamenti intervenuti fino all’epoca contemporanea concernono l’aspetto dei Mari Cimmerium e Sirenum, e la virtuale sparizione del Nodus Lacoontis.

 

Ebisawa

Fino agli anni cinquanta, la mappa più dettagliata disponibile rimaneva quella di Antoniadi del 1930. Benchè utile ancor oggi, essa fu superata nel 1960 dall’opera di Shiro Ebisawa, al quale si deve una mappa in tre sezioni, estremamente dettagliata e ricca di riferimenti storici.

 

 

 

Questa mappa, certo d’uso non immediato, si raccomanda per le analisi più approfondite, e per l’identificazione dei particolari più minuti che un grosso telescopio può rivelare. A tal scopo essa ha acquisito particolare valore in quanto la raccomandazione suddetta della IAU in tema di nomenclatura non ha trovato pratica attuazione.

Commenti finali

Le mappe citate presentano inevitabili differenze tra loro, e non manca qualche limitata difformità nell’attribuzione dei nomi; nell’insieme costituiscono tuttavia un corpus sostanzialmente omogeneo ed esaustivo.

Il confronto immediato dell’immagine telescopica con le mappe consente, e non sempre, di identificare i particolari maggiori e pochi altri, ne’ potrebbe essere altrimenti dato che le mappe sono sempre la sintesi di lunghi periodi di osservazione, durante i quali ogni regione del Pianeta è esplorata nelle migliori condizioni mediante strumenti di grande apertura.

A seguito dell’ esplorazione ravvicinata da parte delle sonde Viking è emersa la reale struttuta “areologica” della superfice marziana, e le mappe realizzate dall’ US Geological Survey sono drammaticamente diverse da quelle foto-visuali. Alcune, tuttavia, rivestono considerevole interesse anche per l’ osservatore telescopico. E’ il caso delle mappe contrassegnate dalla sigla “Topo” che mostrano ad un tempo i rilievi (ombreggiati), i contorni di altezza e le macchie d’ albedo.

In queste mappe figura una nomenclatura, per adesso ridotta, ricavata associando al nome proprio tradizionale quello comune che descrive la natura geomorfologica locale. Cosi’ abbiamo, ad es., Tyrrhena Patera al posto di Mare Tyrrhenum, Solis Planum per Solis Lacus, Ascareus Mons invece di Ascareus Lacus e cosi’ via. Nondimeno, anche a livello professionale, l’osservazione da terra continua ad essere descritta nei termini della gloriosa nomenclatura schiaparelliana.