Le osservazioni (soprattutto quelle digitali) prodotte dai collaboratori della SNdR Pianeti devono innanzitutto essere misurabili. Poiché a livello amatoriale le misurazioni sono eseguite ormai quasi esclusivamente con WinJupos, è logico dare ai file un nome riconoscibile da questo software in modo tale che l’analizzatore (e anche l’osservatore) non abbia bisogno di inserire a mano i dati ogni volta. Inoltre, una standardizzazione dei nomi risulta indispensabile per un’archiviazione ordinata delle osservazioni, sia digitali che visuali, per cui anche queste ultime devono rispettare la stessa codifica delle altre quando vengono scannerizzate.
WinJupos accetta diverse tipologie di nomi per i file, è caldamente consigliabile usare la più comune che è la seguente:
YYYY-MM-DD-HHMM_T-Observer-Image info
oppure in forma semplificata
YYYYMMDD_HHMM.T_Observer_Image info
Ad esempio, l’osservazione di della Vecchia del 7 luglio 2021 ore 01:21.5 UT con un filtro al metano avrà la seguente forma:
2021-07-04-0121_5-dellavecchia-CH4
oppure
20210704_0121.5_dellavecchia_CH4
Nel caso di osservazioni visuali, che raramente ormai sono misurate, o di immagini digitali dove non sia richiesta la massima precisione, è possibile semplicemente omettere il decimale (WinJupos assegna in questo caso il “.0” automatico). Ad esempio:
2021-07-04-0121-dellavecchia-info
20210704_0121_dellavecchia_info
vengono considerate dal software come osservazioni avvenute alle 01:21.0 UT di tempo medio.
Il cognome dell’osservatore non è più necessario che sia limitato a quattro lettere ma può essere scritto per esteso, sebbene ciò non sia mandatorio.
È immediato verificare che se si carica un’immagine sotto il Menu “Image measurement” attenendosi alla nomenclatura vista, WinJupos compila automaticamente i campi Date, UT, Observer e Image Info:
I files vanno salvati per l’invio in formato JPEG. È opportuno, tuttavia, tenere nel proprio hard disk anche i file in formato non compresso (TIFF, PNG, FITS, eccetera) nel caso fosse richiesta l’immagine raw o elaborazioni ulteriori.
Il tempo dell’osservazione deve essere quello centrale, arrotondato al minuto più prossimo. Ciò non è difficile da ottenere con i moderni software di acquisizione, come FireCapture (sicuramente il migliore), che su richiesta dell’utente assegnano al video in output direttamente un nome non solo nel formato WinJupos, ma anche calcolando il tempo medio di ripresa. È caldamente consigliabile selezionare questa opzione come default, per evitare errori o noiosi calcoli.
Per Giove, che ha molti dettagli accessibili agli strumenti amatoriali e ruota velocemente, è opportuno che le osservazioni digitali (almeno quelle a risoluzione maggiore) considerino anche il decimo di minuto, secondo la convenzione vista al paragrafo precedente. Se per qualche motivo i decimi devono essere assegnati a mano, può tornare utile la seguente tabella di conversione dai secondi di tempo ai decimi (e viceversa):
L’ora è acquisita dal software di ripresa direttamente dall’orologio del PC, che è dunque importante sia correttamente sincronizzato. È consigliabile da pannello di controllo settare il server di riferimento time.nist.gov come da schermata seguente (valida per Windows 10):
e controllare periodicamente (idealmente, prima di ogni sessione di osservazione) l’offset del proprio orologio attraverso uno dei siti internet che offrono questo servizio. Ad esempio le risorse seguenti:
ci forniranno in tempo reale l’errore del clock del nostro PC. Esso non dovrebbe mai eccedere i pochi secondi, in caso di grossi scarti è opportuno ricontrollare le nostre impostazioni e/o risincronizzare.
Particolare attenzione va riservata alle osservazioni (soprattutto visuali, la cui ora viene compilata a mano) che avvengono a cavallo della mezzanotte, perché si potrebbe creare confusione tra il tempo locale e quello universale, che è quello da usare sempre. Ad esempio, una osservazione compiuta il 20 di agosto alle 01:03 LT di tempo centrale (ora italiana), dovrà essere registrata con la data del 19 di agosto 23:03 UT.
Osservazioni multiple
Capita abbastanza spesso che ci sia bisogno di accorpare più di una immagine in un solo file, per motivi di spazio e/o perché si vogliono mostrare insieme riprese in bande differenti. Poiché WinJupos legge un’unica data, è preferibile nominare il file con il timing dell’immagine più rappresentativa ovvero quella centrale della serie, avendo naturalmente cura di inserire il tempo medio di tutte le immagini direttamente all’interno del report osservativo.
Tratteremo qui soltanto dell’orientamento delle immagini digitali, particolarmente delicato, e di evidente impatto sulle misurazioni. La Sezione Pianeti UAI consiglia di adottare l’orientamento classico dei pianeti, quello con il Sud planetario in alto.
Esistono vari modi per trovare il polo planetario, più o meno complessi e attendibili. Per i giganti gassosi e quelli ghiacciati, i quali hanno sempre dei satelliti facilmente rilevabili dalle moderne camere planetarie, è sufficiente far entrare qualcuno di questi ultimi nel ROI del sensore (eventualmente allargando un po’ quest’ultimo), e col loro ausilio orientare opportunamente le dimensioni e l’angolo di rotazione della maschera di misura. I satelliti, come appaiono dopo lo stacking e un modesto sharpening, devono essere sferici o comunque puntiformi per costituire un riferimento attendibile, ed è consigliabile che i video non siano troppo lunghi per non risentire del loro moto di rivoluzione (il problema è più concreto con quelli che si spostano rapidamente, come i galileiani, e/o quelli più vicini al pianeta).
Per Saturno, il piano degli anelli e la divisione di Cassini costituiscono un comodo riferimento, probabilmente accurato quanto le sue lune.
Il semplice metodo descritto ovviamente non è applicabile con Mercurio e Venere, che non hanno satelliti, e facilmente nemmeno con Marte, poiché Phobos e Deimos sono difficili da riprendere a causa del bagliore del pianeta. È possibile allora usare il metodo del drift, o della deriva, che si basa sul trascinamento verso Ovest di tutti i corpi celesti.
Si può procedere in due modi. Se si desidera un’accuratezza non eccessiva (potrebbe essere il caso di Venere, i cui dettagli hanno sempre dimensioni angolari abbastanza grandi, o di Mercurio) basta ruotare la camera e spegnere i motori finché il pianeta non correrà grosso modo parallelo ad uno dei lati del sensore, preferibilmente quello lungo, e poi riprendere normalmente senza toccare il treno ottico. Come riferimento è possibile attivare il reticolo di FireCapture portandolo poi fuori dal campo, resterà una linea rossa parallelamente alla quale il pianeta si dovrà spostare durante la deriva (vedi immagine sotto).
Con questa procedura abbiamo orientato il nostro sensore, naturalmente, secondo la direttrice Est-Ovest, con il lato corto che ci darà invece la direzione Nord-Sud (celesti, non quelli del pianeta!). Arrivati a questo punto, per semplicità, ci si potrebbe anche fermare, purché si specifichi chiaramente nel report osservativo che in alto ci sono i poli celesti e non quelli planetari. Questa prassi, tuttavia, è oggi poco usata.
Per trovare il polo del pianeta in modo semplice, dopo aver orientato il sensore come detto e processato l’immagine, dal menu Outline frame -> Equatorial Adjustment si seleziona “Rotate outline frame as if image was captured in the Equatorial System” con il che la maschera di misura dovrebbe mostrare l’asse di rotazione planetario parallelo a quello della nostra ripresa. Dopo averne aggiustato il size e la posizione (senza ovviamente toccare l’orientamento) diamo finalmente un Ctrl+H con cui il pianeta e la maschera saranno disposti con il polo in alto.
Una variante più precisa ma più laboriosa del metodo della deriva (meglio che il sensore sia stato grossolanamente orientato come già detto) richiede che sia fatto un breve video a motori spenti del pianeta, fino a farlo spostare da un bordo all’altro del sensore. È opportuno usare il pieno formato per un’accuratezza maggiore. Fatto ciò, si esportano il primo e l’ultimo frame in Photoshop (o software equivalente), si seleziona accuratamente il disco del pianeta e si dà un Ctrl+T per evidenziarne il centro. Le coordinate x1, y1 di questo vengono misurate (con la scheda “Info”) e si fa lo stesso con l’ultimo frame, quello dove il pianeta è dall’altra parte. Si hanno quindi le coordinate di 4 punti: x1, y1, x2, y2, che sono quelle dei 2 centri. Si calcola la pendenza della retta che li unisce con la semplice formula:
arctan[(y2-y1)/(x2-x1)]
che dà l’angolo (in radianti, per i gradi lo moltiplico per 57,3) che la deriva del pianeta (ossia l’asse E-W) forma con il lato lungo del mio sensore. Ruotando l’immagine finale di un valore pari a quest’angolo, si ottiene una correzione ulteriore che dovrebbe assicurare la massima precisione, utile ad es. in condizioni di seeing davvero buono e/o con un grosso diametro.
Le procedure sopra possono essere evitate se (con un uso accurato dei filtri e dei settaggi della camera planetaria) nel caso di Marte, si riesce ad evidenziare le lune, che possono essere usate per un rapido orientamento come già detto.
WinJupos implementa funzionalità che possono aiutare nell’orientamento, qualcuna di recente introduzione all’epoca di queste note (agosto 2021). Ad esempio, la funzione “Add images” sotto il menu “Image measurement”, così come “Determine equatorial vector from video” servono a trovare il vettore equatoriale (ossia la direttrice E-W), ma la loro precisione è da determinare. Il software mette anche a disposizione una grafica addizionale da sovrapporre al pianeta per un primo orientamento di massima, ma questo tool dalla scarsa accuratezza è da usare solo se necessario e solo per i pianeti terrestri.
Una volta trovato il polo planetario con uno dei metodi descritti ed orientata l’immagine con il Sud in alto come da standard di Sezione, questa diviene adatta per l’analisi e le misurazioni (posto che l’elaborazione sia stata correttamente eseguita). È opportuno specificare direttamente sulla scheda che il pianeta è stato orientato con criterio e non ad occhio, ad esempio mediante le diciture “Planetary South/North at top” oppure “Image suitable for measurations”.
Se per motivi di tempo o altro non si ha modo di orientare accuratamente il pianeta, si può apporre la dicitura “Image not oriented” mettendo opportunamente in guardia l’analizzatore che provvederà autonomamente.
In questa sede diamo solo delle indicazioni affinché le immagini presentate siano utilizzabili a fini scientifici, per l’analisi e le misurazioni. Anche se questo caposaldo pone alcuni limiti alle operazioni che è lecito fare, non va affatto a discapito dell’estetica, almeno nella misura in cui si giudica bella un’immagine quando rappresenti un pianeta in modo aderente alla sua realtà fisica, senza eccessi né storpiature. Un’immagine corretta può essere benissimo un’immagine spettacolare. In ogni caso, è sempre da preferire un’immagine di minore impatto ma processata correttamente e rispettosa dell’aspetto di un pianeta, a un’altra dove quest’ultimo è stato alterato per suscitare meraviglia e strappare un applauso.
L’osservazione va anzitutto corredata dei dati essenziali: dati strumentali, filtri usati, tempo centrale e sito di ripresa. Indicazioni supplementari utili sono la longitudine del (o dei) meridiano centrale, l’altezza del pianeta e il suo diametro angolare. Una piccola icona o equivalente indicazione indicherà che in alto c’è il polo del pianeta, Sud o Nord. Una freccia, o le diciture precedente/seguente (p/f) indicheranno il verso di rotazione del pianeta, sebbene non sia consigliabile usare osservazioni specchiate.
Il seeing medio nella finestra di ripresa andrà stimato con la scala di Antoniadi (I-V) oppure, soprattutto per le riprese digitali, con quella di Pickering (1-10). Anche una stima della trasparenza è certamente utile (1-10, in ordine crescente di trasparenza).
È raccomandato apporre sempre il logo PNdR Pianeti UAI.
Veniamo ora all’elaborazione vera e propria. La prima regola aurea è di tenere un processing il più possibile semplice ed essenziale, evitando procedure iterative eccessivamente lunghe di sharpening/denoise, che alla lunga condurranno alla creazione di artefatti, talvolta assai subdoli e difficili da riconoscere come tali.
È chiaro poi che è preferibile non eccedere con le maschere di contrasto/wavelet, né di raggio fine (che enfatizzano il rumore) né di raggio ampio, che allargano eccessivamente i dettagli distruggendo al contempo quelli di dimensioni minori. Anche metodi utilizzati in ambito professionale, come la deconvoluzione, possono creare pesanti artefatti se utilizzati inappropriatamente.
Ogni procedura di misurazione richiede che sia ben riconoscibile il bordo planetario, che però purtroppo è assai sensibile al processing tendendo a contrarsi man mano che si aumentano i contrasti. Ecco un altro validissimo motivo per tenere sempre la mano leggera.
È consentito incollare il pianeta su fondo scuro al termine del processing, separandolo dal suo sfondo naturale, se ciò viene fatto con cautela e cioè senza conseguenze per il bordo.
Le immagini possono essere presentate sia a colori che in monocromatico, usando filtri a banda stretta o a banda passante.
Se la tricromia è realizzata con una camera monocromatica, è preferibile che essa sia pura, cioè realizzata sommando i tre canali Rosso, Verde e Blu (RGB). È in questo caso consigliabile, anche se non mandatorio, presentare sempre anche i canali singoli, almeno l’R e il B.
È accettabile la tricromia con il canale verde interpolato R(G)B, specificando le percentuali di R e B utilizzate per creare il canale sintetico.
Tranne casi particolari, sono invece da evitare (in quanto esteticamente discutibili e scientificamente inutili) quadricromie con il quarto canale differente da quello L di luminanza (R-RGB, IR-RGB, eccetera). Se l’immagine, come spesso accade in condizioni non ottimali di seeing, mostra una risoluzione accettabile solo alla lunghezza d’onda più lunghe, è preferibile allegare il canale R, RIR o IR separatamente insieme alla tricromia, oppure da solo.
Per Venere, che mostra dettagli abbastanza contrastati in luce ultravioletta e molto meno in infrarosso, sono piuttosto in voga ma da evitare tricromie del tipo UV-(UV+IR)-IR, comunque ottenute. È preferibile, nel caso, presentare sempre i singoli canali, la cui combinazione ha scientificamente poco senso in quanto evidenzia strati nuvolosi a differenti altitudini.
Nel caso delle lune gioviane, che non possono essere derotate, è prassi frequente incollare il satellite in una posizione “plausibile” (ma sfortunatamente mai accurata) per motivi estetici. Visto che i satelliti sono molto utili per una temporizzazione precisa (soprattutto Io), è caldamente consigliabile esplicitare l’utilizzo di questa pratica sul report osservativo.
Infine, vogliamo ricordare che il riferimento principe per fenomenologia, contrasti e colori di un pianeta resta sempre il suo aspetto visuale. L’osservazione all’oculare è la migliore medicina possibile contro gli artefatti, in costante agguato durante il processing di una immagine digitale, e riconcilia anche il più incallito imager con l’oggetto e il senso autentico della sua attività. L’esperienza visuale è il personale punto d’incontro tra l’osservatore e i pianeti, e, insieme allo studio della fisica planetaria e delle dinamiche atmosferiche -irrinunciabile per un’attività di ricerca anche amatoriale-, costituisce una parte fondamentale del bagaglio culturale del serio osservatore planetario.