Come evidenziato da una ricerca originale dello scrivente, un mito narrato da Omero descrive molto accuratamente il comportamento in cielo di Marte. Questo pianeta si contraddistingue per rimanere invisibile per un lungo periodo, un fenomeno notevole in quanto la sua invisibilità è maggiore di quella di qualsiasi altro pianeta.
Omero narra che i due possenti figli di Aloeo, Oto ed Efialte (in realtà di Poseidone ed Ifimedia, poi adottati da Aloeo), un giorno si batterono con Ares sopraffacendolo e chiudendolo in catene dentro una botte di bronzo.
Per questa impresa contro gli dei, Dante li pone all’Inferno (XXXI canto).
Chi osserva usualmente il cielo sa bene che Marte diviene luminosissimo e prominente in cielo durante l’opposizione e poi però “sparisce” e non è più visibile per un tempo lunghissimo.
Per metà del tempo del suo periodo sinodico di 26 mesi (tempo medio tra due opposizioni), Marte è molto luminoso (fino a magnitudine -3!), molto veloce (percorre 17 ore di ascensione retta), e ben visibile (splende sopra l’orizzonte per praticamente tutta la notte).
Negli altri 13 mesi invece Marte è debole (magnitudine superiore a 1,2), lento (non percorre più di 10 ore di ascensione retta) e scarsamente o per nulla visibile (dista meno di 60° dal Sole: si vede solo durante il crepuscolo oppure non si vede per niente in quanto si trova dietro il Sole).
Il mito esprime tale scomparsa con la prigionia dentro la botte: può sembrare una semplice analogia, in realtà l’identificazione tra la cattività di Marte nella botte degli Aloadi e la invisibilità del pianeta nel cielo è suggerita da numerosi e ben circostanziati aspetti del mito.
Il principale indizio per questa interpretazione è dato da una precisa quantità che il mito specifica: il periodo in cui Marte resta nella botte. Omero infatti narra che il dio è rimasto nella botte per 13 mesi, che sono esattamente la metà del periodo sinodico di Marte.
Si tratta di un valore difficilmente dato senza una ragione considerando che la storia, con una prigionia così lunga, rasenta l’inverosimile: nessun altro dio per più di un anno si era accorto dell’assenza di Marte? Evidentemente il mitografo ha preferito inserire il preciso dato astronomico piuttosto che forgiare una storiella credibile ma senza significato.
Un altro indizio il mito lo dà indicando chi salva il dio della guerra dalla sua prigionia.
La storia racconta infatti che è la madre adottiva dei due giganti ad accorgersi del misfatto ma, anzichè liberare lei stessa Marte, o chiamare il maniscalco o il fabbro più vicino, preferisce scomodare Ermes. La chiamata in causa di Mercurio appare gratuita quanto deliberata e, per questo, significativa.
Effettuando le dovute verifiche si scopre che Mercurio è l’unico pianeta sempre visibile insieme a Marte quando questi esce dal periodo di invisibilità durante la congiunzione con il Sole.
Il mito degli Aloadi sembra quindi un altro esempio di narrazione che trae spunto da un’osservazione astronomica, e si distingue per conservare accuratamente i dati osservativi.
Lo studio, condotto da Paolo Colona, è stato presentato al Congresso Nazionale UAI di Prato nel maggio del 2016 ed è pubblicato sulla rivista Astronomia della UAI, numero 6 novembre-dicembre 2017.
Un articolo divulgativo sull’interpretazione astronomica di questo mito è apparso sul numero 237 di Coelum Astronomia di ottobre 2019 e lo si può leggere qui.
[ Paolo Colona ]
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